Stupore tra gli inquirenti. Il sacerdote: per me sono brave persone
Cattolica Eraclea. «Le nostre chiese hanno bisogno di tante attenzioni e noi l'attenzione gliela daremo in tutti i modi. Le imprese di Favara non mancheranno, la ditta Athena e i Pitruzzella, ne sono convinto, ci daranno una mano». Parola di don Nino Giarraputo, neo arciprete di Cattolica Eraclea, nel giorno del proprio insediamento nella sua nuova realtà parrocchiale. Le imprese di Favara citate dal sacerdote sono però di proprietà di personaggi noti alle forze dell'ordine per essere stati arrestati negli anni Ottanta e Novanta con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso. La Athena Costruzioni citata da don Giarraputo è infatti gestita dai fratelli Valenti: uno di questi venne arrestato nel 1999 perché ritenuto vicino alla mafia di Favara. Santo Pitruzzella, titolare dell'omonima ditta, invece, venne arrestato nel 1988 e detenuto sempre in regime di 416 bis assieme ad altre 13 persone di Favara, paese dove in quegli anni impazzava una sanguinosa guerra di mafia. Il padre di Santo, Gioacchino Pitruzzella, è noto alle cronache del tempo come «uomo d'onore», almeno secondo le dichiarazioni del pentito Antinino Calderone. Non uno qualunque, dunque. Ma perché don Nino Giarraputo ha tirato in ballo queste due ditte «note» in cotanta occasione festosa, alla presenza dell'ignaro arcivescovo Francesco Montenegro? Appena insediatosi nella comunità di Cattolica Eraclea, don Nino ha sottolineato che le ditte Athena e Pitruzzella sono state quelle che hanno costruito e urbanizzato la sua ormai ex parrocchia di Favara, quella dei Santissimi apostoli Pietro e Paolo. Evidentemente, un lavoro ben fatto, utile alla comunità, tanto da portarlo ad auspicare, dinanzi a centinaia di persone, che anche per le parrocchie di Cattolica le ditte da lui stesso conosciute possano essere coinvolte nei lavori di miglioramento delle strutture. Ma, evidentemente, la citazione di famiglie dal passato giudiziario burrascoso non è rimasta circoscritta alla parrocchia che svolge da qualche tempo la funzione di Matrice (nella vera chiesa madre, infatti, durante un temporale cinque anni crollò la cupola, rendendo quindi la chiesa inagibile). Quanto accaduto è stato accuratamente raccolto dalle forze dell'ordine provinciali che, senza perdere tempo, hanno inviato in Procura un'informativa. L'autorità giudiziaria di Agrigento è in sostanza informata sulle affermazioni di don Giarraputo. Un parroco di prima linea, come lo ricordano i favaresi. Giunto in paese nel 1993, in piena guerra di mafia, l'allora giovane sacerdote si mise alla guida della propria comunità, sfidando di fatto un ambiente ostile. Talmente ostile che, dopo poco mesi, cominciarono a giungere intimidazioni di vario genere, vere e presunte, che fecero alzare il livello di attenzione verso il sacerdote originario di Menfi. L'allora prefetto di Agrigento, Natale D'Agostino, visto quanto stava accadendo a Favara, decise di conferire una scorta al parroco per circa 3 anni. Giarraputo denunciava il traffico di droga che scorreva a fiumi tra i giovani del quartiere, ne parlava liberamente nelle proprie omelie. Divenne col tempo un punto di riferimento della gente perbene di Favara. Dopo 16 anni, l'arcivescovo Montenegro lo ha trasferito a Cattolica Eraclea. Nella sua prima messa, quella d'insediamento, don Giarraputo ha avuto parole di affetto per la gente di Favara e per quella che, con il nuovo incarico, si appresta a conoscere. Il riferimento alle due famiglie coinvolte in passato in questioni di mafia ai parrocchiani non ha suscitato particolari choc: erano cognomi sconosciuti. Diverso il discorso per gli inquirenti. Intanto, dal prefetto Postiglione, dal questore Di Fazio e dal colonnello dei carabinieri Di Iulio sono giunti commenti improntati alla meraviglia. Dal mondo della Chiesa agrigentina, fino a ora, alcun commento su quanto accaduto. Dal canto suo, don Nino Ciarraputo respinge telefonicamente al mittente ogni possibile ipotesi di sospetto: «Li ho soltanto ringraziati per quanto fatto a Favara, per me sono tutte brave persone. A chi le ha detto di chiamarmi, dica che prima s'informi e di venirmi a parlare di persona se ha qualcosa da comunicarmi». E poi giù la cornetta del telefono.
La Sicilia
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